TRAMONTO INGLORIOSO
Nicola Melfi
Il calcio verace e poetico è finito la sera del 29 maggio 1985. La tragedia dell'Heysel con i 39 morti e gli oltre 600 feriti ha segnato la fase definitiva di non ritorno.
Dopo lo squallore visto all'Olimpico è opportuno parlare di morte cerebrale del calcio. Almeno da noi. Non è del tutto chiara la dinamica su ciò che è avvenuto prima, durante e dopo la finale di Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina. Resta il fatto che il partenopeo Ciro Esposito continui a lottare per sopravvivere in un letto del policlinico Gemelli; mentre Davide “Gastone” De Santis, l'ultrà romanista ritenuto il responsabile del ferimento di Esposito è stato raggiunto da provvedimento cautelare in carcere, così come nel registro degli indagati è finito Gennaro De Tommaso, capo della sponda azzurra.
Alla base della sparatoria ci sarebbe un regolamento di conti oppure una lite. Per i pm De Santis è il colpevole; le indagini della polizia invece lo scagionerebbero. Comunque De Santis è quel signore che in un Roma-Lazio di qualche anno fa, dopo essere entrato in campo e parlottato con Totti, decise che il derby non andava disputato. Come di fatto avvenne. Stesso copione, sabato scorso, all'Olimpico. Stavolta è toccato a “Genny a'carogna” decidere il da farsi.
Polizia, funzionari della Federcalcio, dirigenti del Napoli insieme a capitan Hamsik, tutti a pendere dalle labbra del capo dei Mastiffs, la frangia napoletana più oltranzista. Un comandante. Un direttore d'orchestra. Tutti gli altri, meri esecutori. Scene già viste. Pietose. Di uno Stato assente. Debole. Remissivo. E' inutile che il ministro Alfano parli di dispiegamento di 1500 agenti giurando (come pure il presidente Coni, Malagò) l'inesistenza di qualsiasi trattativa con i delinquenti. Non ci crede nessuno. Alla fine Genny, a parte il giro del mondo mediatico, è diventato il capro espiatorio della situazione beccandosi cinque anni di Daspo. Non si sa se per la t-shirt solidale con l'ultrà catanese condannato per l'omicidio Raciti oppure per essersi arrampicato alle transenne degli spalti. Tutto è ormai in mano agli ultras. Sono loro a imporre le regole. A impartire ordini. A pretendere i gesti più umilianti (la consegna delle maglie da parte dei giocatori del Gonoa non dice niente?).
Il tifo, anche quello più politicizzato, è solo la punta dell'iceberg. Il core business- droga, estorsioni, merchandising- è controllato da mafia, camorra e ndrangheta. Purtroppo il fenomeno si sta attecchendo anche nei contesti più piccoli. Per ricatto o convenienza la maggiorparte delle società non batte ciglio.
Spiragli non se ne intravedono. A meno che, anche in Italia non si deciderà di voltare pagina. Come fece Margaret Thatcher con gli hooligan. In Gran Bretagna, così come in Francia o Germania, famiglie intere vanno allo stadio in tutta tranquillità. Cosa impossibile in Italia.
Pochi anni fa, si pensò di scimmiottare la coriacea filosofia rugbistica attraverso il famigerato “terzo tempo”. Fallimento
inevitabile. Perché dove alberga lo sport, lì di sicuro il calcio non troverà mai più posto.